TEORIA DELLA RELATIVITA'

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view post Posted on 22/8/2009, 23:24




In fisica, col termine relatività si fa riferimento genericamente alle trasformazioni matematiche che devono essere applicate alle descrizioni dei fenomeni nel passaggio tra due sistemi di riferimento in moto relativo. L'espressione teoria della relatività è usata per riferirsi ad alle teorie einsteniane della teoria della relatività speciale e generale che Einstein ha elaborato tra il 1905 e il 1913, le quali hanno come elemento fondante il principio di relatività.

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Evoluzione della teoria della relatività

Gli antichi greci cominciarono a interrogarsi sulla natura, sul suo ordine (cosmo) e sulla possibilità dell'esistenza di princìpi e leggi di natura. Quasi tutti i filosofi dell'antichità, tra cui Eraclito, Parmenide, Zenone, Leucippo, Democrito, Platone ed Aristotele, si occuparono di questioni che almeno in parte sono inerenti a quella che oggi viene chiamata fisica, parola che ha origine greca e che sta a rappresentare "le cose della natura". Nella fisica di Aristotele si trovano quelle che si potrebbero considerare come le prime teorie, benché inesatte, sul moto dei corpi; egli, comunque, non fu precursore del principio di inerzia, scoperto 20 secoli dopo da Galileo e la cui enunciazione formale è ascrivibile a Newton.

La scienza moderna comincia con l'assunto fondamentale, dovuto a Galileo Galilei, che le leggi della fisica abbiano la stessa forma rispetto a qualunque sistema di riferimento si adotti nel quale valga il principio di inerzia. Questo assunto venne definito nel 1609, è oggi chiamato principio di relatività galileiano, tuttora valido. Esso si basa sulla grande intuizione di Galileo della composizione dei moti e quindi della legge di somma delle velocità: se due osservatori sono in moto relativo tra loro e ognuno di loro si sposta con uniformità, in modo che la velocità relativa sia costante, misureranno spazi differenti rispetto allo stesso evento, ma la "forma" delle loro osservazioni ha la stessa veste algebrica. Nulla tuttavia si dice sui tempi.

Il concetto che il tempo sia legato al sistema di riferimento è il contributo proprio ed originale di Albert Einstein. Infatti, quando Newton, leggendo e studiando con accuratezza sia il Dialogo sopra i Massimi Sistemi, sia i Discorsi sopra una Nuova Scienza, interpretò le intuizioni originali presenti a livello geometrico negli scritti di Galileo, le assimilò e le fece proprie, originando così la forma matematica e fisica della meccanica, si trovò di fronte al principio di relatività e gli divenne manifesto che la sua adozione implicasse in modo necessario un riferimento in cui il primo principio della dinamica, ossia il principio di inerzia di Galileo, dovesse avere piena validità. Il vero problema tuttavia era e rimane dove collocare tale sistema di riferimento: risolse il dilemma asserendo che tutti gli spazi relativi si riferissero ad uno spazio assoluto, il solo esistente invariato e immutabile, e che l'immutabilità dello spazio assoluto fosse nient'altro che l'espressione dell'esistenza di un tempo assoluto, che scorre uniformemente, pervadendo tutto lo spazio assoluto.

La soluzione di Newton fu brillante e diventò un paradigma destinato a durare per secoli. Già Galileo, tuttavia, con i suoi tentativi di misurare la velocità della luce su base terrestre, esprimeva dubbi non risolti per l'epoca su come si dovesse intendere il principio di relatività e quindi il principio di inerzia ad esso strettamente correlato. Questi dubbi rimasero sopiti, offuscati dal fulgore del grande successo della meccanica newtoniana, fino al 1905.

Con l'avvento delle equazioni di Maxwell, delle trasformazioni di Lorentz e infine della teoria della relatività di Einstein viene meno il concetto, fino ad allora dato per scontato, di tempo assoluto. Il tempo e lo spazio sono legati insieme a formare quello che viene chiamato spaziotempo. La relatività generale postula invece l'uguaglianza della massa gravitazionale e della massa inerziale, e ne ricava la "forma" dello spaziotempo, ovvero la sua metrica generale.

Nonostante abbia dei limiti, in quanto tralascia la meccanica quantistica, resta una delle teorie più precise mai verificate sperimentalmente.

Teoria galileiana

Nata con la fisica classica dal punto di vista matematico, la relatività galileiana si basa sull'assunto che le leggi della fisica siano le stesse in ogni sistema di riferimento inerziale. Intimamente legate a questo principio sono le trasformazioni galileiane, cioè le equazioni che governano i cambiamenti di coordinate da un sistema di riferimento inerziale rispetto un secondo sistema di riferimento che si muove con velocità costante rispetto ad esso.

Due osservatori, che devono poter comunicare fra di loro, determinano due diverse posizioni per il medesimo oggetto mobile che si trova in una data posizione. I due osservatori OI e OII che studiano il moto di un medesimo punto P, determinano contemporaneamente la posizione di P e dell'altro osservatore, PI (distanza tra osservatore OI e il punto P) e PI-II (distanza tra OI e OII) per OI e PII (distanza tra OII e il punto P) e PII-I (distanza tra i due osservatori) per OII. Poiché lo spazio si considera euclideo, essi sanno che

PI − II = − PII − I
La relazione fra le due misure è:

PI = PII + PI − II
oppure

PII = PI + PII − I
e quindi entrambi, utilizzando le proprie misure, sono in grado di calcolare cosa ha misurato l'altro. Può anche bastare che uno dei due osservatori effettui le misure e le trasmetta all'altro per i calcoli. Se gli osservatori determinano la posizione P in istanti diversi di una successione temporale allora sono in grado di determinare il vettore posizione di P in funzione del tempo basandosi sulla seguente relazione

PI(t) = PII(t) + PI − II(t)
Le stesse osservazioni effettuate sul piano si possono riproporre nello spazio.

Per poter correlare le due determinazioni, queste devono essere eseguite nel medesimo istante. I due osservatori si devono quindi scambiare un segnale per accordarsi su quando fare la misura e il segnale deve propagarsi istantaneamente (cioè con velocità infinita). Al contrario, se il segnale si deve trasmettere con velocità finita e nota, i due osservatori prima di allontanarsi l'uno dall'altro, per andare ad eseguire le rispettive misure, possono sincronizzare i loro orologi, ma allora si deve supporre che il movimento degli orologi non alteri il sincronismo, né il passo degli orologi stessi (ipotizzando che gli orologi siano della medesima fattura), cosa che si può verificare scambiando dei segnali, ma si ottiene ancora una misura "non corretta", cioè in contraddizione col concetto di tempo assoluto.

Galileo aveva chiaro il problema; fece il tentativo di misurare la velocità della luce, solo che si basò su una distanza terrestre di circa 30 chilometri, la distanza tra due colline in Toscana, da una delle quali egli con un assistente sull'altra collina avrebbero dovuto misurare il tempo di propagazione della luce di una lanterna, prima coperta con un panno e poi scoperta brevemente, con il battito del proprio polso; in queste condizioni non riuscì neppure a sentire due battiti del proprio polso che la luce era già arrivata, dal che Galileo dedusse che la velocità fosse estremamente alta, e quindi trascurabile ai fini pratici.

Le trasformazioni galileiane, del tutto valide nel campo della meccanica, dinamica e cinematica, non hanno però validità in campi della fisica, come per esempio nell'elettromagnetismo, le cui leggi non sono invarianti sotto le trasformazioni galileiane, bensì sotto le trasformazioni di Lorentz, scoperte dal fisico olandese Hendrick Lorentz. Le trasformazioni galileiane sono infatti corrette solo per velocità piccole rispetto alla velocità della luce, quando gli effetti relativistici di Einstein sono piccoli rispetto alle quantità in gioco.

Critica della relatività galileiana

Verso la fine del 1800, Ernst Mach e diversi altri, fra cui Hendrik Lorentz, si scontrarono con i limiti della relatività galileiana, non utilizzabile per i fenomeni elettromagnetici. Einstein si trovò quindi di fronte a due trasformazioni diverse: quelle di Galileo, valide in meccanica, e quelle di Lorentz, valide per l'elettromagnetismo ma prive di un supporto teorico convincente. La situazione era molto insoddisfacente, in quanto queste due trasformazioni e i principi di relatività ad esse associati sono incompatibili.

RELATIVITA' SECONDO ALBERT

Con Albert Einstein, la teoria della relatività ebbe un ulteriore sviluppo e oggi si tende ad associare a tale teoria il nome del fisico tedesco. La sua teoria si compone di due distinti modelli matematici, che passano sotto il nome di:

-Relatività ristretta
-Relatività generale

Relatività ristretta

La relatività ristretta, chiamata anche relatività speciale, fu la prima ad essere presentata da Einstein, con l'articolo "Zur Elektrodynamik bewegter Körper" (elettrodinamica dei corpi in movimento) del 1905, per conciliare il principio di relatività galileiano con le equazioni delle onde elettromagnetiche.

Precedentemente, a tal fine, erano state proposte alcune teorie che si basavano sull'esistenza di un mezzo di propagazione delle onde elettromagnetiche, chiamato etere; tuttavia, nessun esperimento era riuscito a misurare la velocità di un corpo rispetto all'etere. In particolare, grazie all'esperimento di Michelson-Morley fu dimostrato che la velocità della luce è costante in tutte le direzioni, indipendentemente dal moto della Terra, non risentendo così del cosiddetto "vento di etere"; la teoria di Einstein scarta del tutto il concetto di etere, che oggi non viene più utilizzato dai fisici.

I postulati della relatività ristretta si possono così enunciare:

Primo postulato (principio di relatività): tutte le leggi fisiche sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali;
Secondo postulato (invarianza della luce): la velocità della luce nel vuoto ha lo stesso valore in tutti i sistemi di riferimento inerziali, indipendentemente dalla velocità dell'osservatore o dalla velocità della sorgente di luce.
È possibile verificare che le trasformazioni di Lorentz soddisfano il secondo postulato: se per un osservatore in un sistema di riferimento inerziale la velocità della luce è c, tale sarà per un qualunque altro osservatore in un sistema di riferimento inerziale in movimento rispetto al proprio.

Le leggi dell'elettromagnetismo, nella forma dell'elettrodinamica classica, non cambiano sotto le trasformazioni di Lorentz, e quindi soddisfano il principio di relatività. Abbiamo però visto che la meccanica classica non è invariante sotto queste trasformazioni e quindi Albert Einstein dovette trovare una formulazione covariante della meccanica classica, che si riconducesse alle ben note leggi della cinematica e della dinamica classiche.


E = mc² [modifica]
La nota formula relativistica E = mc² prende in considerazione:

E = energia, espressa in joule (= N·m = W·s = kg· m²/s²);
m = massa, espressa in kilogrammi (kg);
c = velocità della luce, espressa in m/s (299.792.458 m/s, generalmente approssimata a 300.000.000 m/s). Pertanto c² 9 x 1016 m²/s².
Diventa quindi facile capire come massa ed energia si equivalgano e come esse siano due facce della stessa medaglia. In sostanza la massa è una forma di energia estremamente concentrata: essa scompare quando compare energia e viceversa. In particolare se un corpo assorbe una quantità di energia, la sua massa non si conserva ma aumenta della quantità E/c²; viceversa la massa del corpo diminuisce se perde energia, per esempio emettendo luce.

L'enorme fattore di conversione che lega la massa e l'energia spiega come concentrando un grosso quantitativo di energia si possa creare una piccola quantità di materia (= E / c²), e anche come partendo da una piccolissima massa si possa ottenere molta energia.

La teoria della relatività ci fornisce, quindi, un’altra sorpresa: poiché la massa non è altro che una forma di energia, essa non si conserva separatamente, ma si aggiunge all’energia cinetica e all’energia potenziale nell’enunciare la conservazione dell’energia meccanica.

Utilizzando l'energia nucleare la resa aumenta, ma in una comune bomba atomica, ad esempio, viene convertito in energia solo lo 0,5% della massa totale del materiale fissile.[senza fonte]

Basti pensare che un solo grammo di materia equivale a 90.000 miliardi di joule (9 x 1013 J = 90.000.000 MJ = 90.000 GJ = 90 TJ). Poiché 1 kW h = 3,6 x 106 joule = 3.600.000 joule, un grammo di materia equivale a 25.000.000 kW h (= 25.000 MW h = 25 GW h).

La conversione di un chilogrammo di materia (equivalente a 90.000 TJ, ossia a 25 miliardi di kW h = 25.000.000 MW h = 25.000 GWh = 25 TW h) coprirebbe, in pratica, il consumo mensile di energia elettrica in Italia, che nel 2004 è stato in media di 25.374 GW h (nell’intero anno 2004 è stato di 304.490 GW h). L’equivalenza massa – energia ha dimostrato la sua potenza, in maniera devastante, con le bombe atomiche. La bomba di Hiroshima era di 13 kilotoni, che equivalgono a 54,6 TJ (13 x 4,2 x 10¹² J); ma questa energia rappresenta soltanto il 60% di quella che sarebbe sprigionata dalla conversione di un solo grammo di materia (90 TJ).

Il fenomeno della completa e immediata conversione della materia in energia potrebbe verificarsi soltanto nel caso in cui la materia entrasse in contatto con l’antimateria.

Da sottolineare che l’equazione di Einstein è valida ed è stata costantemente verificata nei fenomeni fisici macroscopici: ad es. nel Sole ogni secondo 4.500.000 tonnellate di idrogeno si trasformano, mediante il processo di fusione nucleare, direttamente in energia, ossia in radiazione elettromagnetica, per l’astronomico valore di 405 x 1024 joule, che espresso in wattora equivale a 112.500.000.000 TW h (nel 2005 la produzione mondiale di energia elettrica è stata di 17.907 TW h, equivalenti a kg. 716,28 di materia). Ma l'equazione vale anche a livello subatomico (fisica quantistica): le collisioni tra particelle elementari (elettroni, protoni e neutroni) generano nuove particelle aventi complessivamente la stessa energia (massa), così come dagli urti tra fotoni scaturiscono coppie elettrone-positrone, che si annichiliscono tra loro trasformandosi nuovamente in fotoni (energia).

Nei processi fisici che non coinvolgono reazioni nucleari è possibile enunciare una legge di conservazione della massa, scoperta da Lavoisier, e della legge di conservazione dell'energia (primo principio della termodinamica), alla cui scoperta hanno contribuito nella seconda metà del 1800 diversi scienziati (Joule, Carnot, Thomson, Clausius e Faraday): nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. Einstein, però, ha compreso e dimostrato che il principio di conservazione, complessivamente inteso, coinvolge la materia-energia, considerate non più come due realtà separate bensì unitariamente, dato che l'una può trasformarsi nell'altra secondo una precisa relazione matematica.

La formula esprime in qualsiasi sistema di riferimento l'energia totale di una particella ferma. rispetto a quel particolare sistema di riferimento.

Se il corpo è in movimento, la formula corretta è: image

con . image

La massa è qui intesa come massa relativistica del corpo, da distinguere dalla massa inerziale m. La massa inerziale può essere considerata una proprietà del corpo, poiché in un moto inerziale essa rimane inalterata. Il concetto di massa relativistica, estende il concetto di massa gravitazionale. Tuttavia questo concetto può risultare fuorviante[1]

Con queste considerazioni ha senso definire una massa che dipende dalla velocità (e sarebbe il prodotto della massa propria, inerziale, per il termine γ):

m = m(v), e in particolare che: image
,e che: image
.
In altre parole, la massa relativistica non è una proprietà indipendente dalla velocità v, ma cresce con questa. Quando la velocità si approssima a quella della luce, la massa del corpo tende all'infinito.

Per accelerare un corpo, avente massa diversa da zero, da riposo alla velocità della luce sarebbe necessaria un'energia infinita.

Una seconda motivazione, per la quale non può essere superata la velocità della luce, deriva dalle equazioni che spiegano la contrazione/dilatazione dello spazio-tempo nella relatività ristretta.


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Relatività generale

La teoria della relatività generale venne presentata come serie di letture presso l'Accademia Prussiana delle Scienze, a partire dal 25 novembre 1915, dopo una lunga fase di elaborazione. Esiste un'annosa polemica sulla pubblicazione delle equazioni di campo tra il matematico tedesco David Hilbert ed Einstein; tuttavia, alcuni documenti attribuiscono con una certa sicurezza il primato ad Einstein.

Il fondamento della relatività generale è l'assunto, noto come principio di equivalenza, che un'accelerazione sia indistinguibile localmente dagli effetti di un campo gravitazionale, e dunque che la massa inerziale sia uguale alla massa gravitazionale. Tramite il calcolo tensoriale.

Pur dimostrandosi nel tempo estremamente accurata, la relatività generale si è sviluppata indipendentemente dalla meccanica quantistica e finora mai riconciliata con essa. D'altro canto, la fisica quantistica, pur potendo includere la relatività ristretta, non tiene conto degli aspetti della relatività generale.

Nella relatività generale i limiti sono dovuti essenzialmente al trattamento delle singolarità e degli stati della materia in cui le interazioni gravitazionali e quantistiche arrivano ad avere lo stesso ordine di grandezza. Tra le evoluzioni prospettate per tale teoria, le più note ed investigate sono la teoria delle stringhe e la gravitazione quantistica a loop.

Ipotesi sulle origini

La genesi e la paternità della teoria della relatività, così come fu elaborata da Albert Einstein, è circondata da una sorta di mistero che periodicamente torna ad affiorare, generando discussioni nel mondo scientifico. Negli anni ottanta un gruppo di studiosi portò avanti su un quotidiano italiano, Il Giornale di Vicenza, una lunga battaglia a sostegno di una tesi secondo cui la celebre equazione di Einstein, E=mc², sarebbe stata fatta derivare direttamente dallo studio Ipotesi dell'etere nella vita dell'universo, presentata nel 1903 al Reale Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti di Schio (VI) da Olinto De Pretto (1867-1921). De Pretto, laureato in agraria, di professione industriale ma appassionato di fisica e di geologia, non rivendicò mai però la paternità - neppure in nuce - della celeberrima formula. Nel 1999, il "Caso De Pretto" ha trovato tuttavia nuova linfa per mezzo di Umberto Bartocci, docente di storia della matematica all'Università di Perugia, il quale ha narrato la propria visione dei fatti nel pamphlet - accolto peraltro con un certo scetticismo dall'ambiente accademico - Albert Einstein e Olinto De Pretto, la vera storia della formula più famosa del mondo. Ma Einstein, in base alle supposizioni formulate nel tempo intorno al suo lavoro, potrebbe essere stato aiutato nelle sue elaborazioni sulla relatività generale da un altro italiano: il matematico Gregorio Ricci Curbastro (1853-1925) che mise a punto propri particolari calcoli tensoriali. A ciò si aggiungano le relazioni e la collaborazione con l'amico svizzero Michele Besso, che Einstein ringraziò scrivendo:"... concludendo, tengo a dire che l’amico e collega M. Besso mi ha costantemente prestato la sua preziosa collaborazione mentre lavoravo a questo argomento, e che gli sono debitore di parecchi interessanti suggerimenti."


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fonte wikipedia
 
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